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Giovanni Paolo II in anticipo sulla propria epoca

16.10.2020

In occasione del 42° anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo II Segretario di papa Arcivescovo emerito dell’arcidiocesi di Cracovia card. Stanisław Dziwisz sottolinea che diventa sempre più visibile la necessità di ricordare l'insegnamento di Karol Wojtyła alle generazioni future.

card. Stanisław Dziwisz fot.episkopat.pl

Negli anni della sua vita a Giovanni Paolo II si rimproverava spesso che avesse lo sguardo fissato nel passato, che non capisse il presente e non stesse al passo con il mondo. È vero che il suo ruolo nell’abolire il comunismo è stato diffusamente riconosciuto, tuttavia era opinione non rara che non fosse capace di ritrovare il proprio luogo nell’epoca della democrazia e del pluralismo, nel mercato globale delle idee, dove la Chiesa, alla pari con gli altri, doveva adoperarsi per attirare l’attenzione delle persone.

Oggi tuttavia, a quindici anni dalla sua partenza per la Casa del Padre vediamo con quanta perspicacia egli seppe analizzare la realtà e quanto furono precise le sue previsioni dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare. Quando il sistema comunista in Europa stava crollando, la maggior parte degli intellettuali si sono lasciati a un universale ottimismo, nella convinzione che questa fosse la fine dei grandi confronti politici ed ideologici, e d’ora in poi avrebbe regnato l’era d’oro della democrazia liberale senza più alcun disturbo. Andava all’epoca di moda il termine “fine della storia”.

Ciononostante il Santo Padre non cedette a tale euforia, chiamando (per esempio in Varcare la soglia della speranza) il collettivismo marxista una “edizione peggiorata” di un programma più ampio che aveva dominato la vita pubblica nell’Occidente da ben tre secoli, mirato, in essenza, a cancellare Dio e la religione dallo spazio pubblico. La storia del Novecento dimostra che una tale lotta non ha mai avuto esiti buoni per l’umanità, anzi, ha contribuito a numerose tragedie.

Gli eventi che seguirono diedero ragione a Giovanni Paolo II, il quale non solo fu capace di dare una diagnosi accurata dei mali che affliggono il mondo occidentale, ma seppe anche identificare il rimedio. A suo avviso, il futuro del mondo si giocherà non nei campi di battaglia, ma soprattutto nel grembo delle famiglie, e dipenderà dalla qualità dei rapporti con i nostri cari. Per questo motivo egli alzò gli studi sul fenomeno della famiglia al rango di scienza accademica. La teologia del corpo che sviluppò costituisce una risposta approfondita, integrata e comprovata alla crisi di identità che osserviamo nella sfera della sessualità umana.

Il problema si nota soprattutto nei giovani che hanno difficoltà ad entrare nell’età adulta, poiché la contemporanea cultura occidentale ha perso i modelli tradizionali di iniziazione, ovvero di quel processo che porta alla crescita e alla maturità. Giovanni Paolo II è stato il primo leader mondiale ad aver individuato i giovani come gruppo sociale a parte, e a loro ha rivolto il proprio messaggio in occasione dell’evento ciclico della Giornata Mondiale della Gioventù, come anche dedicando esclusivamente a loro numerosi incontri durante i suoi pellegrinaggi in tutto il mondo. Aiutava cosi a crescere un’intera generazione di giovani da padri assenti, giovani privati dell’esempio dei maestri della vita; indicava loro in che cosa consiste essenzialmente la maturazione: si tratta di scoprire la propria identità, vocazione, senso e scopo nella vita.

Nei tempi di una progressiva atomizzazione e anomia della vita sociale puntava sulla solidarietà come regola fondamentale della vita collettiva. Essa fu per lui una traduzione sociale del concetto di carità, ispirata alle parole di san Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri”. Ci aiutava cosi a scoprire il radicamento evangelico di cosi tante virtù sociali. Per rinnovarle, dunque, oggi e’ necessario tornare alla fonte.

Sembra che la regola filosofica che disciplinava l’ordine del suo approccio al mondo fosse il personalismo, di cui e’ frutto una vita costruita soprattutto sulle relazioni personali, in primo luogo con la persona di Dio stesso, e poi con gli altri uomini. Una tale impostazione esclude qualsiasi strumentalizzazione della persona usata ai fini mercantili o politici. Proprio in tale ottica Giovanni Paolo II giudicava vari sistemi sociologici ed economici, analizzando se non finivano per degradare l’essere umano al mero ruolo di produttore o consumatore.

Questo personalismo del Papa ci rimanda alla “Prima Persona”, alla persona di Dio stesso, la cui qualità primaria nei confronti del creato è la Misericordia. Non a caso essa è diventata uno dei principali motivi teologici e pastorali del suo pontificato. Lo ha enfatizzato Benedetto XVI nella sua lettera speciale pubblicata in occasione del centenario di nascita di Giovanni Paolo II nella quale chiama la misericordia “il centro giusto dal quale leggere il messaggio contenuto nei diversi testi”.

Lo si intravede anche nelle parole pronunciate dal Papa nel 2002 nel santuario di Łagiewniki che anche oggi risuonano di attualità: “In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione della misericordia. Dove dominano l’odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della misericordia a placare le menti e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, occorre l’amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta l’inesprimibile valore di ogni essere umano. Occorre la misericordia per far sì che ogni ingiustizia nel mondo trovi il suo termine nello splendore della verità”.

Cardinale Stanisław Dziwisz

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