L'articolo del ministro Zbigniew Rau su "Il Messaggero"
26.08.2022
"L'aggressione della Russia all'Ucraina ha rappresentato un campanello d'allarme per l'Europa e ha stimolato una riflessione approfondita sul suo futuro" ha scritto il ministro degli esteri Zbigniew Rau nell'articolo pubblicato dal quotidiano romano "Il Messaggero".
La libertà e l'uguaglianza delle nazioni sono l'unica difesa contro la minaccia dell'imperialismo
L'aggressione russa all'Ucraina ha segnato la fine di un'epoca nella storia dell'Europa, dominata dalla convinzione che, date le esperienze traumatiche del XX secolo, un'altra grande guerra sul continente non possa accadere, mentre tutte le nazioni europee condividono il desiderio di pace. Ci siamo resi conto, in modo drammatico, che l'imperialismo non è solo una categoria storica, ma la forza motrice del mondo moderno che con il suo potere distruttivo colpisce, anche se in maniera diversa, ognuno di noi. Inoltre, è diventato anche evidente che ignorare le ambizioni, le inclinazioni o le semplici abitudini imperiali, accettare di pensare e agire in termini di sfere di influenza, comprendere le leggi storiche o gli specifici interessi economici degli Stati più potenti non riuscirà a integrare l'imperialismo in modo permanente - e tanto meno armonioso - nel mondo libero.
L'aggressione della Russia all'Ucraina ha rappresentato un campanello d'allarme per l'Europa e ha stimolato una riflessione approfondita sul suo futuro. Nell'avviare il dibattito attinente a tale riflessione, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha indicato l'Unione Europea come l'antitesi dell'imperialismo che, nelle attuali realtà strategiche, deve essere fondamentalmente rafforzata attraverso l’estensione dell’ambito delle decisioni adottate con voto a maggioranza e l’abbandono del diritto di veto. Tale soluzione consentirà alla Germania di assumere la leadership - per senso di responsabilità per il nostro continente di fronte alla minaccia imperialista.
La Polonia, in particolare, ha il diritto e il dovere di partecipare a questo dibattito, in considerazione sia della propria esperienza storica di vittima dell'imperialismo dei suoi vicini, sia della propria tradizione antimperialista e del proprio pensiero politico. Quest'ultima, basata sulla convinzione della libertà e dell'uguaglianza dei popoli e delle nazioni, ha trovato la sua espressione più diretta nei motti dell'eredità secolare delle generazioni: "Uguali con gli uguali, liberi con i liberi!"; "Niente su di noi senza di noi!"; "Per la nostra e la vostra libertà!". La loro essenza è stata espressa nel modo più semplice e completo da Adam Jerzy Czartoryski quando scrisse nel 1830: "Ogni nazione indipendente – così come l'individuo nell'ordine universale - ha il diritto di avere un proprio governo e di costruire la felicità sociale secondo la propria concezione. Quindi nessun'altra nazione, non potendo dominare su un'altra, e tanto meno considerarla una sua proprietà o un suo strumento, ha il diritto di interferire con ciò che l'altro considera buono per lo sviluppo del proprio benessere interno. In nessun caso un intervento straniero può imporre un regime comune per trasformare con la forza - cosa contraria alla natura e al diritto – due nazioni diverse in un'unica società".
Dal punto di vista polacco, l'imperativo dell'Europa di oggi è difendere la libertà e l'uguaglianza degli individui e delle nazioni in ogni angolo del nostro continente, senza eccezioni. In Ucraina, è la libertà degli Ucraini di scegliere la propria identità, il proprio sistema politico, le proprie affiliazioni politiche e alleanze militari, e di decidere quando devono continuare la lotta per l'indipendenza e quando avviare i negoziati con la Russia. È anche la sovrana uguaglianza nei confronti di qualsiasi altro Stato sovrano, e quindi l'inalienabilità dell'integrità territoriale ucraina. Questa libertà e uguaglianza dell'Ucraina richiede un ampio sostegno politico, diplomatico, economico e soprattutto militare, che deve fornire i mezzi per difendere efficacemente la sua indipendenza. L'assenza di tale sostegno, o solo la sua simulazione, significa niente di più e niente di meno che accettare la tesi imperiale secondo cui le nazioni non godono della stessa soggettività, dello stesso status morale, della stessa protezione del diritto internazionale e che il loro destino non è determinato dal diritto internazionale e che il loro destino, la loro condizione o la loro posizione siano decisi da imperi o concerti di potenze. Perché se il principio della libertà e dell'uguaglianza delle nazioni deve essere universale e rispettato da tutti i popoli europei, l'Ucraina deve vincere con il nostro sostegno e l'imperialismo russo deve essere fermato e sconfitto.
Fermare e sconfiggere l'imperialismo in Europa non può essere un progetto che si limita alle relazioni tra la Russia e l'Ucraina o anche tra la Russia e gli Stati che essa ha privato dell'integrità territoriale - come la Moldavia e la Georgia - creando infiniti conflitti cosiddetti congelati. Tuttavia, con il desiderio di dominare i partner, imporre loro le proprie ragioni, ignorare i loro diritti, interessi e bisogni e le loro proteste, ovvero con tendenze imperiali, abbiamo avuto e continuiamo ad avere a che fare all’interno della stessa UE. Inoltre, sarebbe difficile trovare un osservatore della realtà dell'UE che sia d'accordo con la tesi secondo cui la carenza fondamentale dell'integrazione europea è il deficit delle aspirazioni di dominio degli Stati membri più forti. Allo stesso modo, sarebbe difficile trovare qualcuno disposto a sostenere che le aspirazioni di dominio costituiscano una barriera efficace alla penetrazione dell'influenza dell'imperialismo russo nello spazio dell'UE. Pertanto, se siamo d'accordo sulla necessità di una riforma del processo decisionale comunitario, questa dovrebbe andare nella direzione di limitare le aspirazioni di dominio, creando le condizioni per un'autentica libertà e uguaglianza degli Stati membri, e quindi fermando tutti le aspirazioni e le pratiche imperialiste.
Infatti, contrariamente a quanto si crede, le organizzazioni internazionali non sono di per sé l'antitesi dell'imperialismo. Qualsiasi organizzazione internazionale può costituire tale antitesi solo se si basa sul fondamento della libertà e dell'uguaglianza di tutti gli Stati membri; in altre parole, se tutte le sue istituzioni e pratiche politiche, le iniziative politiche e gli impegni economici sono orientati verso questa libertà e uguaglianza. Pertanto, qualsiasi forma di deficit nella libertà e nell'uguaglianza degli Stati membri che compongono l'UE la rende particolarmente vulnerabile di fronte all'imperialismo russo. Quest’ultimo non può infatti offrirle null’altro che il proprio modello politico e il proprio modo di agire. Cercando partner con un potenziale economico o demografico sufficientemente ampio, in combinazione con il modello storicamente praticato della propria politica imperiale, esso offre una forma privilegiata di cooperazione economica o di collaborazione politica. In altre parole, l'imperialismo propone una trasformazione del continente a propria immagine e somiglianza, un concerto di potenze con la propria partecipazione russa e sfere d'influenza definite congiuntamente.
Dove sono, allora, le cause del deficit di libertà e uguaglianza degli Stati membri dell'Unione Europea che aprono la strada a tali minacce imperiali? Il più grande deficit di libertà è rivelato dal sempre più comune processo decisionale a seguito del voto a maggioranza, che si traduce in una crescente disuguaglianza dei membri della comunità. I paesi di piccole e medie dimensioni, le cui possibilità di creare coalizioni efficaci, comprese le coalizioni di blocco, sono incomparabilmente inferiori a quelle dei paesi più grandi, rimangono da sistema in posizione perdente quando vogliono difendere da soli i propri diritti, interessi o bisogni. E quando perdono nelle votazioni, i loro affari vengono decisi da altri, il che significa che la loro libertà viene fondamentalmente violata. Questo perché la libertà si riduce alla sottomissione alla legge che ci stabiliamo da soli con il potere della nostra volontà. Essendo soggetti alle disposizioni di questa legge, siamo soggetti alla nostra stessa volontà, e quindi rimaniamo liberi.
Il deficit di uguaglianza, d'altra parte, si manifesta soprattutto nello squilibrio dell'area dell'euro, dove si sta verificando una pietrificazione degli squilibri fiscali ed economici. Dopo l'adozione della moneta unica alcuni paesi non sono stati in grado di crescere in modo stabile e armonioso, mentre altri hanno registrato un surplus permanente delle esportazioni, contrastando l'apprezzamento della propria moneta attraverso la persistente stagnazione economica di altri. È quindi un sistema che limita radicalmente una componente essenziale dell'uguaglianza: l'uguaglianza di opportunità.
Il deficit di libertà e uguaglianza si riduce al radicamento di una divisione istituzionale e funzionale tra gli Stati di piccole e medie dimensioni e quelli più grandi; questi ultimi non solo hanno un indubbio vantaggio economico e potenziale demografico, ma hanno anche un peso nel processo decisionale dell'Unione Europea che gli Stati di piccole e medie dimensioni non sono in grado di controbilanciare, anche agendo congiuntamente. La permanenza e l'inviolabilità de facto di questa divisione porta al dominio sistemico, politico ed economico, dei primi sui secondi. Questo dominio, a sua volta, apre la strada per l'intensificazione degli interessi nazionali degli Stati dominanti a spese di quelli dominati. Il successo di questo processo è garantito dal fatto che i dominanti hanno in genere l'indiscussa possibilità di presentare e definire i propri interessi nazionali particolari come il bene comune di tutti gli Stati membri dell’UE. Si tratta di una condizione che offre terreno fertile sia agli sforzi dell'imperialismo russo che alle pratiche imperiali all'interno dell'UE stessa.
L'esempio del gasdotto settentrionale, Nord Stream, è un caso di studio spettacolare. L'accettazione dell’offerta di accesso permanente al gas russo più economico doveva garantire un vantaggio competitivo sul mercato comune in cambio dell'accettazione informale della sfera d'influenza russa nello spazio post-sovietico. Colmare il divario tra gli interessi politici fondamentali dell'imperialismo russo e le ambizioni economiche dello Stato più potente dell'UE ha portato alla trasformazione permanente di quest’ultima verso un modo di operare imperialista. L'acquisizione di una posizione dominante sul mercato è avvenuta non solo a costo della violazione delle condizioni di parità di concorrenza, ma anche del rendere le economie europee dipendenti dalle risorse energetiche russe e dagli interessi di sicurezza di alcuni Stati membri e dell'Ucraina. La preferenza per la cooperazione politica con la Russia è andata anche a scapito della lealtà verso gli alleati, in particolare quelli più esposti alle pretese dell'imperialismo russo sul fianco orientale della NATO. Queste azioni non erano frutto di un caso, ma il risultato di una strategia consapevole, deliberatamente e coerentemente perseguita, presentata come un progetto europeo puramente economico di beneficio economico per tutti, e quindi parte del bene comune degli Stati membri.
Tuttavia, quando questa strategia è venuta meno a causa dell'aggressione russa all'Ucraina, il bene comune è stato ridefinito, assumendo la forma della solidarietà europea. La fine del vantaggio competitivo tedesco nel mercato comune si è tradotto in un progetto spinto da Berlino per una riduzione volontaria del consumo di gas del 15 per cento da parte di tutti Stati membri, compresi quelli che hanno insistentemente messo in guardia i loro partner europei dal diventare dipendenti dalla Russia.
Un'altra importante illustrazione delle pratiche imperiali intra-UE è l'esperienza greca. Dalla creazione dell'eurozona, l'economia tedesca ha avuto un saldo commerciale positivo, mentre l'economia greca (così come quella di altri Paesi del Sud europeo) ha dovuto affrontare le sfide della stagnazione, del calo di competitività e, di conseguenza, dell'aumento del debito. Nonostante ciò, la moneta unica comune è stata e continua ad essere presentata come un beneficio per tutti i Paesi dell'area euro e quindi come un loro bene comune. La crisi economica del 2010 ha evidenziato la natura dialettica di questo bene. Il bene comune era il successo dei prestiti esteri, soprattutto da parte delle istituzioni finanziarie tedesche, e delle esportazioni, anch'esse soprattutto da parte delle aziende tedesche. Ma durante la crisi, il bene comune si è diventato quello di trasferire alla Grecia tutti i costi di un sistema difettoso, stimolando l'indebitamento dei paesi meridionali, e questo nonostante il fatto che il problema del debito di tutti paesi del Sud europeo sia solo l'altra faccia della medaglia del boom delle esportazioni tedesche.
Quindi la moderna governance europea, la governance dell'Unione Europea non ci protegge dall'erosione della libertà e uguaglianza degli Stati membri che, come l'esperienza ha dimostrato, favorisce la rinascita dell'imperialismo. In questo contesto, creare le condizioni istituzionali affinché la Germania assuma la guida dell'UE non farebbe che aggravare in modo sostanziale questa mancanza di libertà e di uguaglianza. Se quindi l'offerta tedesca deve servire alla difesa dell'UE dall'imperialismo, difesa di cui la Germania si sente responsabile, l'Unione ha bisogno non di una leadership tedesca, ma di una autolimitazione tedesca. Solo allora la libertà e l'uguaglianza degli Stati membri permetteranno all'Unione di diventare l'auspicata antitesi dell'imperialismo.
Così come l'imperialismo è una minaccia fondamentale per l'UE, così la sua difesa efficace richiede riforme fondamentali. Quindi, la libertà degli Stati membri richiede un radicale rafforzamento del consenso europeo e il suo riconoscimento come fondamento dell'azione e cooperazione comunitaria. L'uguaglianza tra gli Stati membri, a sua volta, richiede il ripristino delle pari opportunità per il loro sviluppo, che a sua volta deve portare alla riforma della eurozona. Il radicalismo di questa riforma non può escludere a priori nessuna soluzione, come ad esempio una quantomeno parziale e sistemica riduzione del debito o il ritorno temporaneo o permanente di alcuni Stati membri dell'eurozona alle valute nazionali. Inoltre, l'impulso alla riforma e la direzione del cambiamento dovrebbero provenire dagli Stati membri e non dalle istituzioni dell'UE. Spetta agli Stati stessi presentare e definire il bene comune, e quindi i principi di prosperità e sviluppo di tutti loro, e, di conseguenza, definire l'ambito dei poteri delle istituzioni. Inoltre, lo sforzo di riforma dovrebbe basarsi sul presupposto che a una difesa efficace contro l'imperialismo dovrebbero contribuire maggiormente coloro che hanno sperimentato l'imperialismo e non coloro che in passato lo hanno praticato.
Se non intraprendiamo tale riforma, se non difendiamo l'idea e la pratica della libertà e dell'uguaglianza delle nazioni di fronte alle minacce imperiali, porteremo a una involuzione intellettuale e politica rispetto ai secoli di progresso e di eredità europee.
Ci troviamo, pertanto, di fronte a una sfida esistenziale che non è affatto una novità nell'esperienza europea. All'inizio della nostra era, si doveva risolvere il dilemma se Roma dovesse rimanere una repubblica di cittadini liberi ed eguali o assumere le caratteristiche delle vicine monarchie ellenistiche. Coloro che difendevano la repubblica avevano giustamente avvertito che Roma non sarebbe sopravvissuta a una tale trasformazione imperiale ellenista. Il loro avvertimento merita oggi di essere ricordato.
ZBIGNIEW RAU